Le liste civiche escono dalle fottute pareti!

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Disclaimer: articolo a vocazione prettamente localistica (se si esclude il finale). Chiedo venia ai lettori non appartenenti alla mia zona.

 

Prima di iniziare con questo post, è doverosa una premessa: sono candidato alle amministrative in una lista civica del mio comune, ergo tutto quello che state per leggere è sicuramente frutto di un’ottica assolutamente parziale, interessata e malevola.

In pratica, tutto come al solito.

L’essere coinvolti in una turbinante campagna elettorale è una esperienza interessante.

Peraltro io sono convinto che le campagne elettorali sviluppate in contesti medio-piccoli, come un comune montano, siano in assoluto le più violente ed, in qualche misura, le più divertenti. Da un giorno all’altro ti ritrovi a scoprire che qualcuno, dal nulla, ti odia a morte perché “sei andato con quelli là!” e la mole delle chicchere da bar relative alla tua famiglia viene arricchita dai complotti più fantasiosi che la mente umana possa concepire, oltre che ad avvenimenti mai accaduti che vengono presi per buoni a prescindere.

Per dire, una vecchina che adoro del mio paese da cinque anni si rivolge a me trattandomi come se fossi il presidente del consiglio (anche se alle scorse elezioni ho preso un valore numerico di preferenze inferiore alla sufficienza di un esame universitario e, di conseguenza, il mio ruolo amministrativo è stato paragonabile a quello del cespuglio nell’aiuola esterna al municipio).

 

Partecipare alla campagna elettorale di un comune ti costringe, a prescindere, ad uno sguardo d’insieme su come si orienti politicamente l’Appennino intero.

Storicamente, si sa, la provincia di Reggio Emilia è sempre stata “rossa”.

Partigiana durante la guerra, comunista nella seconda metà del ‘900, post-comunista dalla caduta del muro.

In questo contesto, le elezioni amministrative si sono sempre rivelate un banco di prova per lo schieramento politico che oggi tendiamo ad identificare come “di destra”, al punto che – fino alle scorse amministrative – la “lista civica” è stata il mezzo preferito delle compagini di centro e di centrodestra.

Generalmente, la ricetta era piuttosto semplice: un grosso calderone di democristiani, fascisti, leghisti, post-fascisti a cui si aggiungevano uno o due soggetti “di sinistra” che permettevano di spacciare la lista come civica. Questo avveniva principalmente perché era difficile proclamare la propria appartenenza a quel determinato schieramento in queste zone in cui l’avversario era, costantemente, la lista “di sinistra”: molto più semplice era tentare la via del trasformismo.

Cosa è cambiato, quest’anno?

Sul fronte “centro-destra” assolutamente niente, la ricetta è sempre quella. Ma sul fronte “centro-sinistra/sinistra”?

Qui sta la novità del duemilaquattordici.

I partiti di “sinistra” (relativamente a come poi venga intesa la “sinistra” in ambito ReggioEmiliaMontano si potrebbero effettivamente avviare analisi antropologiche su cui è meglio, in questa sede, soprassedere) sono scomparsi dai manifesti elettorali.

Il PD non esibisce il suo simbolo da nessuna parte: magari organizza la lista, ma la presenta con un nome diverso. Oppure la appoggia esternamente, quasi a voler rimarcare una volontà che è solamente di contributo a qualcosa di “altro”.

Nella sostanza, non cambia nulla: le famiglie importanti dei vari potentati locali (autori delle meravigliose politiche di sudditanza alle decisioni urbane sul destino della zona montana avvenute negli ultimi decenni) sono comunque ben rappresentate dai vari rampolli inseriti nelle liste e, quando non è il partito a dirigere direttamente le operazioni, queste vengono affidate a uomini o donne “nuovi” (estranei alla politica, magari anche persone in gamba) legati ad un guinzaglio che non sanno neppure di avere.

Ma l’estetica la fa da padrona: l’elettore ha la percezione di qualcosa di nuovo, di diverso. Di “rottamatore” e “rinnovato”, come va tanto di moda ora nelle politiche nazionali del nostro ducetto fiorentino.

Vi è, in questa impostazione politica, una ammissione implicita dolorosissima per i partiti che si sono sempre fatti belli del proprio radicamento territoriale: hanno realizzato di disgustare l’elettorato anche a livello locale. Lo zoccolo duro delle amicizie e dei rapporti clientelari esiste ancora, ma la percezione del partito tra la maggior parte della popolazione è di qualcosa di estraneo alla vita quotidiana persino della piccola comunità da cui trae la forza, di legato ad interessi più profondi e decisamente meno collettivi.

Si tratta di una mentalità per certi versi ancora non pienamente matura, ma che forse consentirà lentamente di far attecchire anche a livello locale l’idea che “politica” sia l’occuparsi della buona amministrazione della Polis (qui intesa come comune), e non della spartizione delle ricchezze territoriali tra determinate famiglie adducendo un ideale inesistente come pretesto per governare.

Chiudo con un augurio di buona campagna elettorale a tutti quanti, utilizzando questo testo che ho scritto per l’occasione (pensando proprio alla polis) con uno stile arcaico:

 

«Ti occupi di politica?» – immagina che queste parole te le dica Socrate, il barbuto maestro che morì bevendo un infuso di cicuta -, «E confidando in cosa? Dimmelo, o pupillo del grande Pericle. Di sicuro l’ingegno e l’esperienza ti sono arrivati presto, prima che ti spuntasse la barba!, già accanito  nelle cose da dire o da non dire. E allora quando il popolino è in tumulto e ribollisce per la rabbia, ti basta l’animo per imporre silenzio alla massa inferocita con un maestoso gesto della mano. E che cosa racconti, dopo?
“Cittadini, ciò, per esempio, non è giusto; questo è male, quello gli è preferibile”. Infatti sai pesare la giustizia sui piatti della bilancia incerta; distingui la linea retta anche se passa tra  le curve, o la squadratura inganna perché è storta, e sai marchiare il vizio con la condanna.
Ma perché dunque tu che di bello hai solo, inutilmente, l’epidermide, non cessi di scodinzolare precoce per il volgo che ti  adula?  Tu, che sei più adatto a tirare cocaina?
Qual è per te il massimo bene? Vivere una vita tra casseruole unte e curarti la pelle con frequenti bagni di sole? Attento, una qualsiasi vecchia risponderebbe allo stesso modo.
Nessuno cerca di scendere in sé stesso, ma ognuno spia nella bisaccia sulle spalle di chi lo precede!

 

Ipotizziamo che tu abbia chiesto: «Conosci l’azienda di TizioCaioSempronio?»; «Di chi?» «Quel riccone che a Casina ara tanta terra quanta non riuscirebbe a sorvolarne un uccello»; «Parli di quello sciagurato in ira a Dio, che quando deve festeggiare il cenone di capodanno, non volendo stappare una bottiglia di vino vecchio, piagnucola: “Alla salute”, mordendo una cipolla non sbucciata cosparsa di sale, mentre i suoi dipendenti festeggiano mangiando una pentola di minestra d’orzo e vino inacidito, coperta da una feccia che sembra uno straccio da cucina?»
Ma se riposi unto lasciandoti trafiggere la pelle dal sole, uno sconosciuto dà di gomito al vicino e insinua acido: «Bella moda depilare il pene e l’intimità delle cosce, mettendo bene in mostra i genitali unti!
Mentre ti pettini la barbetta sulle gote profumate di olio, perché la bega ti sporge dall’inguine depilata?
Anche qualora cinque estetisti si mettessero a svellere i tuoi fittoni, e con una pinza ricurva stancassero le tue natiche infrollite, tuttavia non esiste un aratro in grado di domare queste erbacce».

Bersagliamo, e a vicenda offriamo le gambe alle frecce degli altri.
Viviamo così, lo sappiamo. Sotto i tuoi fianchi si apre una ferita oscura, ma la copre una larga cintura d’oro. Puoi dare ad intendere a parole quello che preferisci, ed ingannare i tuoi nervi, se ne sei capace. «Se il vicinato mi definisce egregio, non dovrei credergli?» Ma se impallidisci, imbroglione, alla vista del denaro, e fai tutto ciò che garba al tuo pene, e peraltro sei persino un usuraio… avrai dato ascolto alla folla inutilmente, credulone! Rifiuta ciò che non sei, la gente si riprenda i suoi doni. Rientra in te: saprai quale breve scorta di virtù possiedi.

 

P.S. Beh, ovviamente il testo non è mio. Lo ha scritto Persio duemila anni fa, io ho semplicemente modificato qualche frase della traduzione in Italiano (per rendere più credibile l’auto-attribuzione dello stesso) lasciando inalterato il significato. Sono peraltro certo di non essere riuscito nel mio intento. Per chi volesse controllare, si tratta della sua quarta “satira”; dal canto mio posso solo constatare come questo testo sia vecchio quanto i vangeli e come, da allora, il mondo non paia essere cambiato più di tanto.