Breve Dizionario della Crisi – #2 (La flessibilità ed il Paese Reale)

Continua il pretenzioso ma breve dizionario della crisi. Per chi non avesse letto il primo post e fosse interessato, ecco il link: https://ingannamondi.wordpress.com/2014/04/23/breve-dizionario-della-crisi-1/

 

“Flessibilità in ingresso”/ “Flessibilità in uscita”

Questa magica coppia è, come buona parte delle altre, collegata in primo luogo alle “RIFORME” (vedi breve Dizionario della Crisi #1).
“Il mercato del lavoro ha assoluto bisogno di maggiore flessibilità in ingresso!” dirà, in trasmissione, l’onorevole del PD di turno.
“Io credo sia fondamentale lavorare sulla flessibilità in uscita per ottenere risultati concreti!” gli farà eco il suo compagno di merende di Scelta Civica.
“Possiamo convenire sul fatto che vi sia la necessità di legiferare affinché siano possibili una maggiore flessibilità in ingresso e, contestualmente, una assoluta flessibilità in uscita?” concluderà, saggio e moderato, il giornalista di Repubblica presente in studio.
E converranno, certo che converranno.
Ma, di preciso, a cosa si riferiscono quando parlando di flessibilità?
Uno studio condotto dall’Università delle Pecore di Carù su un campione di trecento volontari (selezionati tra parlamentari di SEL, giornalisti assunti da De Benedetti, sindacalisti della CGIL, quadri di Confindustria e Cristiano Malgioglio) ha rivelato che l’obiettivo comune della richiesta di maggiore flessibilità è uno solo:

il tuo ano.

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(lo chef consiglia una cottura a 90°)

Questo, semplicemente, perché maggiore “flessibilità in ingresso” significa che ti proporranno lavori di merda con turni impossibili e stipendi da fame e tu dovrai dimostrarti flessibile. Accettare, ed esercitare il tuo ano alla flessibilità.

Dall’altro lato, maggiore “flessibilità in uscita” implicherà che potranno licenziarti dal tuo lavoro infame quando vorranno e tu non avrai neppure il diritto di fiatare, perché quando si sceglie di essere flessibili bisogna dimostrare di esserlo fino in fondo.
Del resto, come chiunque abbia mai cenato ad un ristorante messicano sa bene, “ciò che entra , da qualche parte dovrà pur uscire”. In questo caso il buco è lo stesso, quindi si risparmia tempo.

 

“Paese reale”

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(Animali originari del Paese Reale. Le mie strategie di marketing sono sublimi ed inaspettate)

Scena: il giornalista di partito di uno schieramento opposto sta snocciolando le ragioni per cui, a suo parere, l’azione di governo degli ultimi mesi faccia schifo. L’elenco è lungo: sudditanza ai diktat europei, promesse disattese, situazione economica critica, reunion dei Pooh, eccetera.
La signorina onorevole vittima della messa alla berlina è una trentaduenne mediamente carina munita di un sorriso smagliante, nata in un luogo della pianura padana dal nome improbabile (tipo Farageradadda) che si è laureata brillantemente in scienze della comunicazione, per poi seguire un master sul ricamo libero a fili contati tenuto da un ex-pugile thailandese convertitosi al cristianesimo con il nome di Jesus. Ha ricoperto la carica di consigliere comunale, di capo boy scout e, in terza superiore, è andata in gita per una settimana intera a Bruxelles a “vedere il parlamento”. Questo curriculum vitae ovviamente la autorizza ad esprimersi su questioni di macroeconomia in diretta televisiva con la massima autorità e, forte di questa consapevolezza, zittisce il giornalista avversario urlando “GLI ITALIANI SONO STANCHI DI QUESTE COSE, BISOGNA PENSARE AL PAESE REALE!!!”.

Già, il Paese Reale.
E io che credevo di abitare a Mordor.