Renzi è più fascista di Forza Nuova

PREMESSA 1: Questo scritto era nato come parte del Breve Dizionario della Crisi, con l’intento di aggiungere la parola “Palude” alla lista degli artifici retorici della politica moderna. Man mano che scrivevo, però, mi sono reso conto che la dimensione del commento lo rendeva a tutti gli effetti un post a sé. Ergo, beccatevi questa pappardella se ne avete il coraggio (tanto lo spazio è gratis, chemmifrega?).

PREMESSA 2: Se siete renziani ed il titolo del post vi ha spinto a visitare questa pagina, vi invito gentilmente a cliccare il simbolo “X” posto in altro a destra del vostro schermo. Non troverete nulla di apprezzabile in questo scritto, quindi vi risparmio il disappunto che può potenzialmente scaturire dalla lettura. Popoli in cerca di guru, A NOI!

 

“LA PALUDE”

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(Uno dei mostri che popolano le paludi)

La palude è il mostro della politica contemporanea. Ha sostituito agevolmente lo SPREAD, che incuteva il panico nelle genti dal lontano 2011, ed “I COMUNISTI” (ormai specie protetta dal WWF che manco i cazzo di panda) che terrorizzavano il mondo dai tempi della Prima Internazionale.

“La palude” è la definizione che quelli del PD danno del governo che hanno sostenuto fino al giorno prima che il loro nuovo segretario decidesse di farlo cadere, ovvero il governo Letta.

Nella loro iconografia, fiorita in modo repentino nel giro di manco 24 ore, “la palude” rappresenta l’immobilismo di un governo di larghe intese legato da troppi “lacci e lacciuoli”; contrapposto alla palude, in ottica perfettamente manichea, c’è Renzi che corre. Non si sa dove cazzo vada, ma corre.

(Che poi in realtà si sa benissimo dove va: nello stesso luogo in cui vegetava Letta, ovvero il benestare della grande industria italiana, delle banche e dei potentati finanziari europei. Tutti i partner ideali dei lavoratori, in sostanza)

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 (Renzi che corre. Sta probabilmente fuggendo dalla palude.)

Ora, analizzando la scelta della palude come corrispettivo moderno del babau, si nota immediatamente quanto poco calzante sia la metafora. Tra tutte le prospettive geografico/climatiche per cui si può optare, quella della palude appare una situazione sostanzialmente innocua.

Voglio dire, non è un bel posto. Probabilmente c’è umido, un sacco di fango e parecchie zanzare, ma tutto sommato è vivibile. Da quanti secoli è abitata la zona di Rovigo? Ecco, dai, non dico che sia un bel posto in cui stare, ma c’è di peggio.

Perché se vuoi sottolineare quanto pericoloso sia muoversi in una situazione del genere, la metafora di un LAGO GHIACCIATO è molto più calzante della palude.

Se vuoi mettere in guardia su come l’immobilismo sia potenzialmente letale, le SABBIE MOBILI sono sicuramente più efficaci per rendere l’idea.

Se vuoi, infine, denotare quanto difficoltoso sia districarsi in una condizione politico/economica così complessa, la GIUNGLA sembra proprio fare al caso tuo.

Invece no, loro hanno scelto la palude. E a cosa può pensare l’italiano medio, riflettendo per due nanosecondi sulla “palude”?

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(Quando c’era Lui, le paludi arrivavano in orario)

 

Quando il mio cervello ha fatto questa associazione, la cosa mi ha molto divertito.

Solo in un primo momento, però, perché poi ho iniziato a riflettere e la mia fantasia ha preso il volo partendo  per un viaggio malatissimo che ora vi riporterò qui.

Emmòsòcazzivostri, perché se siete arrivati a leggere fino a questo punto (e non ve lo auguro, ci mancherebbe) vi tocca pure finire tutto l’intervento.

 

Perché insomma, sono anni che si parla solamente di populismi politici. Ora abbiamo Grillo a rivestire il ruolo di spauracchio dei giornaletti della “sinistra” borghese, ma per gli ultimi vent’anni la figura preponderante è stata chiaramente quella di Berlusconi. E Renzi? “Si, mah, insomma… Forse è un po’ populista, ma te lo ricordi ABBERLUSKONE BRUTTO KATTIVO?”.

“Berlusconi il dittatore”, “Berlusconi che censura”, “Berlusconi come il Re Sole”. Ed il tanto millantato “ REGIME”, talmente tremendo che Travaglio e soci ci hanno costruito sopra tutta una carriera professionale, mentre gli intellettuali DESINISTRA di spicco continuavano a pubblicare per Mondadori libri in cui demonizzavano il berlusconismo.

 

Il mondo, però, non finisce con Berlusconi (con suo grande disappunto, ne sono certo).

Il populismo berlusconiano era interamente basato sul carisma dello stesso, in una sorta di “sogno americano” all’italiana: l’uomo ricco “che si è fatto da solo”, sorridente e magnetico, pieno di soldi e di donne. Qualcosa a cui l’italiano medio in qualche modo aspirava, qualcosa che l’uomo della strada auspicava per sé stesso.

 

Ma il populismo renziano è completamente differente: Renzi è l’uomo forte che AGISCE. Il ragazzo che corre e non si fa imprigionare dai meccanismi della “vecchia politica”, perché è NUOVO. Il politico che dei politici smette persino i panni (anche letteralmente, si noti ad esempio la costante precisione nell’abbigliamento casual), vestendo di volta in volta quelli del calciatore, del maratoneta, dell’operaio, di Fonzie nello studio della De Filippi o di chissà quale altra cazzata possa aumentare il consenso intorno alla sua figura.

Una specie di ducetto in salsa obamiana perché, anche se i tempi cambiano ed il fez non è più di moda, l’italiano non si è ancora stancato dell’ UOMO FORTE.

 

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(Il presidente operaio demolisce una discoteca)

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(Il presidente operaio demolisce una palazzina)

 

Ok Giuli, ti sei mangiato troppi Pan di Stelle e la tua mente sta incominciando a partorire accostamenti malati.

No!

Cioè, sì… ma non è questo il punto!

Perché, se perdiamo un attimo di tempo a pensarci, le analogie tra i due personaggi sono molte più delle differenze:

–          La retorica populista dell’uomo che viene dal nulla, del presidente operaio, del cittadino comune

–          L’elogio sistematico della “giovinezza” come un valore politico (già sentita questa? Non l’ha composta Jovanotti. https://www.youtube.com/watch?v=MgqTL3x9sxg )

–          La pretesa di rappresentare trasversalmente tutte le classi sociali, dall’imprenditore all’operaio al maestro elementare, fingendo di non sapere che in una società basata sul conflitto è impossibile fare gli interessi di una classe sociale senza che questo sia a discapito di un’altra.

–          La ricerca sistematica dei consensi a destra, pretendendo di presentare come superati  due schieramenti perfettamente vivi e vibranti, pretendendo di accorpare entrambe le fazioni nella propria figura

–          La “governabilità” come necessità assoluta, con tutto ciò che ne consegue: restrizione degli spazi democratici, il bisogno di aumentare il potere del governo (quindi del Premier), la volontà di accentramento.

–          Il concetto di “rottamazione della vecchia classe politica”, mutuato paro paro persino nel NOME dalle politiche seguite all’insediamento di Mussolini.

–          Una continua tensione alla eliminazione dei dissidi interni più che allo scontro con le altre fazioni; al contrario, tutti i soggetti esterni al PD sono visti come “vampirizzabili” e quindi come opportunità da sfruttare, mentre all’interno del PD il pensiero deve essere unico.

–          Tutta una narrativa agiografica sul suo passato come boy scout (con tanto di interviste ai vecchi compagni che raccontano quanto, già in tenera età, fosse portato naturalmente alla leadership sulle masse e di come CANTASSE PER TENERE LONTANI I CINGHIALI) che veicola, contemporaneamente, un’idea di purezza ed una, intrinseca, di disciplina.

 

E poi stop, mi fermo qui un po’ perché potenzialmente si può andare avanti per giorni ed un po’ perché l’effetto dei Pan di Stelle sta svanendo ed ho urgentemente bisogno di una nuova dose di cacao.

 

C’è uno splendido pezzo di Guzzanti (QUESTO. Pensato all’epoca per Berlusconi, ma credo ancora più calzante se riferito a Renzi) in cui il comico dice “se un dittatore non si mette il cappellone, non spara per aria, non vedete il passo dell’oca fuori dalla finestra e non vi raziona il pane, non lo prendete sul serio… è sempre un buffone, c’è sempre da ridere”. Di regime si è parlato fin troppo, e sempre a sproposito, nel corso di tutti questi anni, ed è chiaro che un paragone così violento sia difficile da digerire e, ancor prima, da giustificare, quindi non voglio proferire giudizi un tanto al kilo in un post che è a metà tra il serio ed il faceto.

Però attenzione, perché i tempi sono cambiati, i linguaggi sono cambiati, le forme e le istituzioni sono cambiate. Il fascismo mussoliniano, quello di Forza Nuova, quello privo di contenuti, quello quasi folkloristico che altro non è se non una continua riproposizione/pantomima di atteggiamenti e retorica vecchi di cento anni, è difficilmente possibile in una società come la nostra. Ma il fascismo populista, quello benedetto da Bruxelles e dalla tecnocrazia, quello che usa l’economia al posto degli squadroni e bastona i manifestanti per mezzo delle forze di polizia… beh, quello è un’eventualità molto più concreta e molto più difficile da intravedere, se permea continuamente la nostra quotidianità.